Criptovalute: quando l’innovazione diventa un possibile strumento di reato
09/03/2022
Avv. Gerlando Di Francesco
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Tra le criptovalute, la più nota è il cd. Bitcoin, che la Banca D’Italia ha riconosciuto oramai da diversi anni come rappresentazioni digitali di valore non emesse da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non aventi corso legale, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento in via esclusivamente telematica.

Sono davvero tantissime le persone che hanno scelto di investire in criptovalute, per le particolari modalità di accesso al risparmio virtuale e per l’anonimato garantito da questa modalità di investimento.

Occorre tuttavia considerare che proprio per le sue particolarità, la criptovaluta rischia di diventare lo strumento per l’integrazione di diverse fattispecie di reato già previste dal nostro Codice Penale.

Tra i rischi più elevati c’è sicuramente il cyberlaundering, ovvero il riciclaggio online di denaro proveniente da reato, consistente, secondo la definizione fornita dal Ministero della Giustizia nel proprio Glossario Cybercrime, “nell’utilizzare conti correnti messi a disposizione da intestatari detti “prestaconto” o “money mule” che, al ricevimento delle somme di denaro, procedono al loro incasso e trasferimento in capo agli organizzatori del crimine”.

Insomma, una condotta volta a trasformare e a “smaterializzare”, per così dire, i proventi del reato in criptovalute, che pare perfettamente riconducibile ai più comunemente noti reati di ricettazione e riciclaggio, puniti rispettivamente dall’art. 648 c.p.e dall’art. 648 bis c.p.

Ma non finisce qui.

In effetti sono molteplici le fattispecie di reato che, direttamente o indirettamente, possono vedere protagoniste proprio le criptovalute.

Sono sempre crescenti, ad esempio, le segnalazioni di tentativi di estorsione in cui il cyber-estortore, minacciando di rivelare segreti o risvolti della vita privata della propria vittima, la costringe ad effettuare versamenti di bitcoin in suo favore.

Ma pensiamo anche ai ransomware, ovvero programmi grazie ai quali gli hacker bloccano i sistemi informatici (pc, smartphone, tablet…) delle loro vittime, spesso anche aziende, per poi ricattarle subordinando il ripristino degli accessi ad esorbitanti pagamenti in criptovalute.

Ritengo che l’immaterialità delle criptovalute, unitamente al carattere riservato ed esclusivo del sistema di gestione sotteso alle stesse, ci porta inevitabilmente a non considerare adeguatamente i rischi ad esse relativi, che invece, è fondamentale conoscere e saper fronteggiare, onde evitare di poter incorrere in situazioni davvero poco piacevoli.